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La storia di Craig Wright: l’uomo che dice di essere Satoshi Nakamoto

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Negli ultimi giorni, molti giornali hanno intitolato che un processo negli Stati Uniti potrebbe svelare l’identità dell’inventore di Bitcoin, Satoshi Nakamoto.

In realtà, il processo in questione non svelerà assolutamente l’identità dell’inventore di Bitcoin, al massimo servirà a decidere a chi appartengono i conti BTC di Satoshi Nakamoto, per un valore di circa 66 miliardi di dollari. L’unico problema è che la causa è fra due persone che non hanno accesso a quei conti, quindi chiunque vincerà non potrà fare assolutamente nulla.

Facciamo quindi un bel po’ di passi indietro e vediamo chi è Craig Wright e perchè si è arrivati a questa causa.

Questa storia inizia nel 2015, ben 6 anni dopo la creazione di Bitcoin e 4 da quando Satoshi Nakamoto abbandonò ufficialmente il progetto, per mai più ritornare.

Craig Wright è Satoshi Nakamoto?

Nel dicembre 2015, due indagini parallele di Wired e Gizmodo suggerirono che Craig Wright potrebbe essere stato l’inventore di Bitcoin. Il fatto che due portali differenti fossero arrivati alla stessa conclusione, portò gran parte dell’opinione pubblica a dedurre, con un certo livello di confidenza, che l’identità di Nakamoto fosse stata svelata. Successivamente, entrambi i siti ritrattarono, dicendo di aver ricevuto informazioni false e coordinate. Secondo alcuni, fu lo stesso Wright a diffondere questi rumor al fine di far parlare di lui.

Il 2 maggio 2016, la BBC e l’Economist pubblicarono degli articoli in cui si affermava che Wright aveva firmato digitalmente dei messaggi utilizzando chiavi crittografiche create durante i primi giorni dello sviluppo di Bitcoin. Le chiavi in questione sono indissolubilmente legate a blocchi di Bitcoin noti per essere stati creati o “estratti” da Satoshi Nakamoto. Lo stesso giorno, con un post sul proprio sito ufficiale, Craig Wright usciva allo scoperto, ammettendo di essere Satoshi pubblicando un messaggio con allegata una firma crittografica.

La reazione da parte della comunità di Bitcoin, però, non fu per nulla positiva.

Il ricercatore di sicurezza Dan Kaminsky affermò nel suo blog che l’affermazione di Wright era una truffa. Lo sviluppatore di Bitcoin Jeff Garzik rispose che le prove fornite pubblicamente da Wright non provavano nulla. Jordan Pearson e Lorenzo Franceschi-Bicchierai del portale VICE affermarono che “Wright ha semplicemente riutilizzato una vecchia firma da una transazione bitcoin eseguita nel 2009 da Satoshi”. In precedenza, in un’intervista con la BBC, Wright aveva promesso di fornire “una prova straordinaria a un’affermazione straordinaria”.

Ad oggi, Wright non ha ancora fornito alcuna prova verificabile della sua paternità del whitepaper originale di Satoshi o della collaborazione con i primi sviluppatori noti e si rifiuta, o non è in grado, di fornire l’unica prova che dimostrerebbe la sua affermazione, ovvero l’originale chiave privata GPG di Satoshi Nakamoto.

Nel giugno 2016, la London Review of Books ha pubblicato un articolo di Andrew O’Hagan sugli eventi, successivamente incluso nel suo libro The Secret Life: Three True Stories, in cui O’Hagan trascorre diverse settimane con Wright. O’Hagan era con Wright durante le sue varie interviste ai media. O’Hagan intervista anche la moglie di Wright, i colleghi e molte delle altre persone coinvolte nelle sue affermazioni. Wright ha dichiarato ad O’Hagan di aver fornito una chiave privata non valida perché non era in grado di fornire quella valida, a causa di obblighi legali concordati come parte di un precedente accordo fiduciario delle Seychelles.

Nel 2019 Wright ha pubblicato un libro dal titolo Satoshi’s Vision: The Art of Bitcoin. Wright ha successivamente registrato il copyright statunitense del whitepaper di Bitcoin e del codice per Bitcoin 0.1. Nessun Satoshi Nakamoto si è opposto a questa operazione, reclamando la reale paternità dell’opera. Un portavoce di Wright ha dichiarato al Financial Times che questo è stato “il primo riconoscimento da parte dell’agenzia governativa di Craig Wright come Satoshi Nakamoto, il creatore di Bitcoin.” L’Ufficio per il diritto d’autore degli Stati Uniti ha emesso un comunicato stampa chiarendo che non era così e che “l’Ufficio per il diritto d’autore non indaga se esiste una connessione dimostrabile tra il ricorrente e l’autore pseudonimo“. In sostanza, nessuno aveva brevettato precedentemente il whitepaper di Bitcoin, quindi la richiesta di Wright è stata accettata.

Il processo Kleiman vs Wright

In una intervista a Finder nel 2019, Wright ha dichiarato che in realtà la creazione di Bitcoin è stata uno sforzo di gruppo, che ha coinvolto anche Dave Kleiman e Hal Finney. Per quanto riguarda quest’ultimo, è appurato che fosse stato uno dei primi collaboratori di Satoshi Nakamoto, ma purtroppo è morto nel 2014, un anno prima che Craig uscisse allo scoperto. Per quanto riguarda Dave Kleiman, anch’egli è già morto, nel 2013.

Da questa dichiarazione, tuttavia, si arriva al processo di cui parlavamo in apertura. Sebbene Dave Kleiman sia morto, suo fratello Ira è ancora vivo e ha fatto causa a Wright chiedendo parte dei 66 miliardi di dollari (al cambio) di Bitcoin presenti nei conti di Satoshi Nakamoto.

Ira Kleiman si è spinto oltre, portando delle email che proverebbero che il fratello era l’unico ad effettuare le operazioni di mining, quindi l’intero contenuto di quei conti sarebbe di sua proprietà e non di Craig Wright.

Wright nega le accuse e afferma che mentre David Kleiman era un amico e confidente, i due non sono mai stati soci e che solo lui è Satoshi Nakamoto.

La risposta di Satoshi?

Il processo Kleiman vs Wright è iniziato nel 2020 e non è ancora finito, ma forse non ha neanche senso aspettare, perché appena è iniziato c’è stato un grande colpo di scena, per qualcuno addirittura un intervento di Satoshi Nakamoto stesso.

Craig Wright aveva depositato in tribunale una lista con centinaia di indirizzi di conti BTC creati agli albori di Bitcoin, quando Satoshi era ancora a capo del progetto. A suo dire, lui era il proprietario di tutti quei conti.

Proprio mentre il dibattito era in corso e Kleiman e Wright duellavano su chi dovesse avere il controllo di quei fondi, da ben 145 di quegli indirizzi sono state effettuate delle transazioni sulla blockchain, con annessa una nota che diceva chiaramente che Wright non era il proprietario di quei conti.

“Craig Steven Wright è un bugiardo e un truffatore. Non ha le chiavi utilizzate per firmare questo messaggio. Il Lightning Network è un risultato significativo. Tuttavia, dobbiamo continuare a lavorare per migliorare la capacità on-chain. Sfortunatamente, la soluzione non è semplicemente cambiare una costante nel codice o permettere a partecipanti potenti di forzare gli altri. Siamo tutti Satoshi.”

La nota aggiunta nei 145 wallet attribuiti a Satoshi

Chiunque sia il proprietario di quei 145 wallet ha quindi voluto mettere in chiaro che Wright stava mentendo. Tuttavia il messaggio resta ambiguo. Perché siamo tutti Satoshi? Forse quel messaggio è stato scritto (contemporaneamente) da tanti diversi possessori dei 145 wallet e quindi Satoshi era lo pseudonimo di un gruppo di sviluppatori? Oppure il messaggio è stato scritto da una sola persona che voleva “abdicare” al ruolo di Satoshi, dicendo che chiunque possiede Bitcoin è, in parte, Satoshi Nakamoto?

Ulteriori indagini svolte dall’exchange Bitmex hanno persino smentito che quei 145 indirizzi fossero legati a Nakamoto. Sicuramente si tratta di wallet “antichi”, aperti da qualcuno che conosceva Bitcoin sin dalle origini, ma non fanno parte della lista degli account “originali”, i primi minati da Satoshi stesso.